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Per amore di Giulia di Cecilia Spaziani

Posto con estremo onore e profondo piacere sul mio umile blog un racconto che ho apprezzato tantissimo di Cecilia Spaziani e che voglio condividere con voi (ho il suo permesso naturalmente)
Scritto per un concorso indetto dall'ineffabile Alex Girola nel suo blog Plutonia Experiment lo scritto ha una ambientazione tutta italiana e...pandemica. Buona lettura.

Per amore di Giulia
di Cecilia  "Cily" Spaziani

Il genere umano non può sopportare troppa realtà.
T.S.Eliot
1.
C'era chi li chiamava gialli, chi non-morti. Max preferiva chiamarli cose-morte.
Chiamarli gialli non gli piaceva perchè era come parlare dei pedoni di un gioco.
«Ancora una volta i rosa battono i gialli» diceva quando scherzava con Giulia.
Ma non c'era proprio niente da ridere. Si muovevano, aggredivano e dominavano la terra nonostante fossero morti.
D'altra parte non gli piaceva neanche chiamarli non-morti. Certo non erano veramente morti, ma ci erano dannatamente vicini e chiamarli non-morti era ammettere che non sarebbero mai morti completamente.
Cose-morte, ecco la definizione, automi che appartenevano al regno dei morti.
E a dirla tutta non era giusto che della roba morta continuasse a brulicare nel mondo dei vivi perciò
i vivi avrebbero vinto la loro battaglia e si sarebbero ripresi quello che di diritto era loro.
Cose-morte voleva dire che lui era nel posto giusto, loro no. Per questo ce l'avrebbe fatta.
E quei tre gialli che ora gli andavano incontro erano solo una seccatura.
Era entrato in quella casa alla ricerca di un regalo per Giulia e nelle case i cadaveri ambulanti ce li trovavi sempre.
La  giostra di cavallini in porcellana che era sullo scaffale era perfetta per Giulia e quei tre erano tra i piedi, lenti, goffi e stupidi. Così stupidi.
La giostra era in ottimo stato, lucida e levigata con la carica del carillon sulla base.
Era certo che lei l'avrebbe adorata  pur non avendo mai visto una giostra.
L'avrebbe adorata perché amava le cose graziose e amava i cavalli, ma soprattutto l'avrebbe adorata perchè «faceva la musica».
Guardò i tre senza-cervello che si avvicinavano con passo malfermo.
La loro puzza di carne in decomposizione era così nauseante che Max fu costretto a respirare solo dalla bocca.
Camminavano nonostante fossero putrefatti e tendevano le braccia verso di lui come per abbracciarlo.
Doveva ucciderli e l'avrebbe fatto. Un uomo poteva abituarsi a tutto se vi era costretto.
Il primo del gruppo era un vecchio, trascinava leggermente la gamba sinistra e un fluido scuro e viscoso colava dal suo ginocchio disegnando una scia sul pavimento.
Aveva un'espressione morta negli occhi e la bocca socchiusa.
Max non voleva sparare, le munizioni erano preziose e soprattutto non doveva fare rumore.
Estrasse dallo zaino la balestra, la puntò sul vecchio e scoccò il colpo.
Il dardo si conficcò sulla fronte.
Il vecchio si fermò di colpo e si è accasciò emettendo un gorgoglio.
Un altro seguiva barcollando. Si chiese se ce l'avrebbe fatta a ricaricare la balestra. Non era difficile, si era esercitato tanto, ma ricaricarla era un'operazione che ancora gli richiedeva del tempo.
Lo guardò per valutare.
Fu allora che un pensiero lo fermò. Quel giallo-femmina somigliava a qualcuno che conosceva. Era identico alla portinaia del suo palazzo. Portava una gonna lunga sotto al ginocchio e un cardigan rosa, sporco di sangue rappreso e fango. Le mancava una ciabatta. Aveva gli occhiali sul petto, attaccati ad una catenella.
Le somiglia, ma non è lei, pensò chissà che fine ha fatto.
Rivide quel suo sorriso cordiale al mattino mentre puliva le scale, lei che innaffiava le piante fiorite del cortile, il profumo dei suoi biscotti che inondava il pianerottolo.
Fu allora che perse l'attimo giusto per colpirla. Scoccò il dardo ma questo si piantò nel collo.
La cosa morta barcollò e si fermò, ma non cadde a terra.
Non c'era più tempo per caricare e colpirla di nuovo.
Il sudore gli imperlò la fronte mentre allungava la mano e afferrava il piede di porco.
Indietreggiò. Salì sul tavolo della camera da pranzo.
La cosa morta riprese a camminare. Digrignava i denti e tendeva le dita macere e avvizzite verso di lui.
In altri tempi si sarebbe fatto prendere dall'ansia di ucciderla e l'avrebbe assalita.
Ora non più. Sapeva che la cosa migliore era aspettare che si avvicinasse e sferrare il colpo con tutta la forza possibile.
Aveva le mani sudate e strinse ancora più saldamente il piede di porco.
Non poteva concedersi un secondo errore.
La cosa morta gli posò la mano piena di croste sul piede e con la bocca spalancata tentò di addentargli la caviglia, la sua saliva nera macchiò il cuoio della scarpa.
Max sferrò un colpo secco. Dal cranio fracassato schizzarono ovunque fiotti di liquido scuro.
Schivò istintivamente un grumo che gli si appiccicò sulla spalla anziché sul viso.
Alzò lo sguardo, l'ultima cosa morta ora era più vicina ma poteva colpirla con la balestra.
Una goccia di sudore gli colò nell'occhio, mentre tendeva l’elastico.
Era a tre metri. Max sentiva l'occhio che gli pulsava per il dolore. Riuscì a caricare il colpo.
Ora era a due metri. Alzò la balestra e mirò alla testa. Si sforzò di tenere gli occhi aperti nonostante il bruciore. Sparò quasi alla cieca, cercando di tenere il braccio fermo.
La freccia si conficcò in bocca. Il giallo crollò a terra come un sacco.
Gettò un ultimo sguardo alla cosa morta che somigliava alla sua portinaia.
Non poteva più vedere se davvero fosse lei perché l'aveva sfigurata.
Gli si inumidirono gli occhi, non per la portinaia, ma per i tempi andati.
Per quella parte della sua vita in cui c'era stata anche la portinaia. Per la musica della radio nella sua auto mentre andava al lavoro, per l'allegria di un bicchiere di vino tra amici, per l'abbraccio di sua moglie quando rientrava.
Si sentiva solo, tremendamente solo.
Si asciugò gli occhi. Doveva muoversi, Giulia lo aspettava. Afferrò il carillon. La porcellana era liscia, tiepida , quasi liquida. Lei sarebbe stata felice e questo lo ripagava di tutto.
Lo ripose nello zaino. Stavolta sarebbe stato attento e non lo avrebbe rotto come era successo con il caleidoscopio di qualche giorno prima.
Ripensò alla portinaia, all'attimo di esitazione che aveva avuto e che avrebbe potuto costargli la vita.
Comincio ad avere le allucinazioni, si disse.
Ma più probabilmente era solo stanchezza.
Recuperò le frecce e perlustrò la dispensa.
Trovò dei barattoli di conserva, un po' di pasta. A parte questo, decine e decine di buste di minestra in polvere, creme liofilizzate e risotti istantanei.
Eppoi trovò del miele. Era stato prodotto nel 2012. Quattro anni prima, ai tempi in cui la vita era più felice e più semplice.
A quell'epoca Anna era ancora viva. Gli si inumidirono gli occhi. Perché era stato tanto ingenuo da dare retta alle stupide disposizioni emanate da quei pazzi durante l'epidemia? Perchè gliel'aveva consegnata? Come aveva potuto credere che l'avrebbero curata? Ora non aveva nemmeno una tomba  per piangerla.
Si asciugò gli occhi con la manica della giacca, infilò il miele nello zaino e tornò al rifugio.


2.
Lui e Giulia si erano nascosti nelle catacombe di Priscilla, sotto il parco di villa Ada.
Era il nascondiglio perfetto.
Si estendevano sottoterra per oltre 10 chilometri ed erano strutturate su due livelli.
Un labirinto di gallerie molto strette in cui si era obbligati a camminare in fila indiana.
Anche se i mangiatori di carne fossero entrati non avrebbero potuto accerchiarli e sarebbe stato semplice ucciderli tutti, uno alla volta.
Durante la pandemia il labirinto di cunicoli era stato integrato con ulteriori passaggi che portavano all'acquedotto della Vergine che era lì vicino. Così si poteva prendere l'acqua senza salire in superficie.
Le nicchie e i loculi delle tombe erano ottimi nascondigli e le pitture sulle lastre di marmo e sui soffitti rendevano quella sistemazione meno lugubre.
Max passava molto tempo a raccontare a Giulia delle storie su quei dipinti.
Certamente altri avevano vissuto lì prima di loro ma Max non li aveva mai conosciuti.
Evitava gli altri sopravvissuti, non voleva stare in gruppo, riteneva di essere più al sicuro da solo. Un qualunque raggruppamento umano avrebbe prodotto rumore, molto rumore.
Inoltre in quel caos bisognava difendersi anche dagli esseri umani, per sopravvivere non avrebbero esitato a sacrificare lui e soprattutto Giulia.
L'ingresso alle catacombe era all'interno di un monastero benedettino circondato da alte mura.
Max aveva chiuso il portone con un chiavistello bloccato con due giri di filo metallico. Era abbastanza improvvisato, ma sufficientemente complicato da scoraggiare qualsiasi essere che non fosse umano.
Ogni giorno pattugliava le mura e si preoccupava di aggiustare eventuali danni.
Mentre si calava nell'apertura Max pensò a quanto era beffardo il destino. Ora che i morti popolavano le città della terra, i vivi erano costretti a nascondersi in cimiteri sottoterra.
Trovò Giulia nella Cappella Greca che leggeva con due gatti sulle ginocchia e Emily posata accanto alla candela.
La cappella era un grande ambiente sotterraneo in muratura diviso in due parti da un arco e riccamente decorato con pitture e stucchi.
Aveva tre nicchie per sarcofagi e un bancone per i banchetti funebri.
-Papà bentornato!-
Corse ad abbracciarlo forte, dimenticandosi i due gatti.
-Salve, bellissima- le disse lui e le scompigliò i capelli. La strinse a sé.
Giulia scoppiò in lacrime.
-Avevo tanta paura che non saresti tornato-
-Papà torna sempre, lo sai.-
Giulia tirò su con il naso e fra i singhiozzi fu colta da un lungo accesso di tosse.
Max la strinse finché non smise di tossire. Le accarezzò il viso e sentì che aveva la pelle calda ed era leggermente sudata.
Le cose-morte non erano l’unico pericolo che poteva ucciderla.
Gli incidenti, le malattie, la fame, tutte le cause di una morte «normale» erano ancora presenti.
-Papà a cosa pensi?-
-Oh, le solite cose. Che sono stanco, che ho fame e che tu sei la bambina più bella del mondo. Sei la mia principessa.-
-Non è vero papà, se fossi una principessa avrei i capelli lunghissimi.-
-Lo so che non ti piacciono così corti, ma è più facile tenerli puliti. Se ti dovessero venire i pidocchi  sarebbero guai.-
Giulia non sembrava convinta.
-Eppoi è più prudente averli corti, così le cose-morte non possono afferrarti per i capelli.-
I due gatti miagolarono mantenendosi a debita distanza da Max.
-Li infastidisce la tua puzza di morto.- spiegò Giulia e prese in mano la candela.
Lo squadrò da capo a piedi.
-Papà! I tuoi pantaloni sono un disastro!- lo rimproverò -Hai usato di nuovo il piede di porco!-
Max cantilenò:
-Foca, fochina, focaccia papà è andato a caccia!-
-Non so se resisteranno all'ennesimo giro in pentola a pressione.- sbuffò Giulia.
Sterilizzare e igienizzare oggetti e abiti era fondamentale per sopravvivere.
Però sterilizzare le cose non era semplice, né il sapone né la bollitura erano sufficienti, il prione Lee-Chang era molto resistente.
Tuttavia se era come gli altri prioni era sensibile ad una temperatura tra i 120 e i 130 gradi.
La temperatura raggiunta all'interno della pentola in teoria era proprio 120-130 gradi, per questo senza un'autoclave l'unica soluzione era bollire le cose in pentola a pressione.
I gatti miagolarono ancora, erano piuttosto seccati dal suo ritorno.
Max aveva adottato Mercurio ed Ermes all'inizio dell'epidemia.
Tenerli era rischioso perché potevano veicolare il contagio, ma erano gatti molto affettuosi e tenevano compagnia a Giulia; avevano l'abitudine di dormire con la bambina ed erano un'ottima borsa calda.
Ma soprattutto non sopportavano l'odore di carne putrefatta e li avrebbero avvertiti della presenza dei gialli prima che fossero troppo vicini.
Giulia prese in mano Emily e illuminò l'imboccatura della galleria per fare strada.
Le candele si consumavano in fretta ma con tutte le chiese che c'erano a Roma era più facile trovare le candele che le batterie per la torcia elettrica.
Quando furono nella stanza dove tenevano le provviste Max estrasse dallo zaino il carillon. Il bagliore della candela colorò di arancio la porcellana.
-Quanti cavallini!- esclamò Giulia.
-E' un carillon- spiegò lui -Suona della musica.-
-Perchè i cavallini sono in cerchio?- chiese.
-Questi cavallini in cerchio si chiamano giostra. Vedrai quando le cose-morte se ne saranno andate ti porterò su una giostra vera.-
Prese il carillon e lo caricò. Ne uscì la melodia allegra delle fiere di paese.
-Che bello!- disse Giulia e cominciò a saltellare.
Rideva e saltava.
Ma la risata si trasformò in tosse. Fu un attacco peggiore di quello precedente.
Si piegò in due e si aggrappò alla manica della giacca di Max.
Tossì finché non le uscirono le lacrime dagli occhi e la saliva non iniziò a gocciare sul pavimento.
Quando  finalmente la tosse si placò, rimase china in attesa che il respiro tornasse regolare.
-E' meglio se lo ascolti seduta.- disse Max.
Giulia lo prese tra le mani facendo attenzione.
-Posso ascoltarlo con Emily?-
-Si, ma per poco. Dobbiamo fare meno rumore possibile.-
Giulia si sedette con il carillon tra le mani accanto a Emily.
Tutti i bambini che Max aveva conosciuto avevano un oggetto prediletto che poteva essere un orsetto o una bambola o una copertina.
Giulia aveva Emily.
Emily era un piccolo teschio che avevano trovato nelle catacombe, probabilmente il teschio di un bambino.
Max sapeva che la scelta dell'oggetto del cuore non andava giudicata, ma la scelta di Giulia lo turbava. Si era procurato numerose bambole e qualche pupazzo di pezza sperando che Giulia smettesse di giocare con quel teschio ma lei li aveva accantonati e addirittura gli aveva chiesto di buttare via le bambole.
Quando Max le aveva chiesto il perché lei aveva risposto:
-Io non sono come quella bambina.-
“Quella bambina” di cui parlava Giulia era una bambina non-morta che avevano incontrato appena fuori dalle mura del monastero.
Aveva i capelli dorati, il volto era verdastro e gli occhi giallognoli e camminava con una bambola stretta al petto.
Max si mise a pulire il piede di porco e le frecce.
Pulì i dardi insanguinati con un lembo di stoffa che poi avrebbe bruciato e li mise in pentola a pressione. Dovevano bollire almeno un'ora.
Per tutto  quello che non entrava nella pentola a pressione usava le soluzioni liquide che venivano usate nei negozi di tatuaggi e negli ospedali per sterilizzare gli strumenti che non avrebbero resistito al trattamento in autoclave.
Mentre strofinava il piede di porco ripensò al giorno in cui avevano trovato Emily.
Quella volta avevano camminato sottoterra fino alle catacombe di Sant'Agnese.
Erano disabitate ma durante il contagio erano state usate come magazzino e si potevano ancora trovare viveri scaduti.
Max aveva trovato dei pacchi di farina e li stava infilando nello zaino quando Giulia lo aveva chiamato ad alta voce.
-Papà guarda!-
Max aveva alzato lo sguardo pronto a sgridarla e era rimasto di sasso.
Giulia era coperta di sangue.
-Vieni a vedere- gli aveva detto lei e lo aveva portato davanti ad un'acquasantiera piena fino all'orlo di un liquido scuro e viscoso.
-Guarda che ho fatto!-
Sul muro c'erano delle impronte rosse di piccole mani.
L'aveva afferrata  per il polso e le aveva pulito le mani con la propria maglietta.
Aveva controllato sulle mani di Giulia se ci fossero ferite.
Fa che non si sia infettata, fa che non si sia infettata.
Per fortuna quella volta sulle mani di Giulia non c'erano graffi.
Max si era tranquillizzato ma subito dopo il panico lo aveva assalito di nuovo.
Chi aveva raccolto tutto quel sangue? Fin dall'inizio dell'epidemia su internet qualcuno sosteneva che bere il sangue di individui sani avrebbe bloccato l'infezione allo stadio iniziale evitando la degenerazione delle doti intellettuali del soggetto infetto.
Max aveva sentito  il sapore amaro della paura risalirgli lungo la gola.
-Andiamo via subito!- le aveva gridato e se l'era caricata sulle spalle.
Aveva corso per le gallerie incespicando. Era arrivato alle catacombe di Priscilla sudato e ansimante, con le ginocchia doloranti.
Solo più tardi si era reso conto che Giulia aveva portato via dalle catacombe di Sant'Agnese  un piccolo teschio.
-Si chiama Emily, come la bambola di Sara, “La Piccola Principessa” e mi farà compagnia mentre tu non ci sei.-
Max aveva sperato nei giorni successivi che la fissazione per quel teschio le passasse, invece Giulia non se ne era più separata.


3.
La notte che la Cold Stone Company entrò nel loro rifugio, il fragile equilibrio della vita di Max si spezzò.
Si era coricato molto stanco con la testa che gli pulsava.
Soffriva spesso di emicrania e sospettava che fosse per qualche carenza alimentare o per una intossicazione. Mangiava poco e sempre le stesse cose da più di un anno.
Come sempre Giulia si era messa a dormire nella nicchia di fronte all'affresco della Madonna con il bambino.
Prima di addormentarsi Max l'aveva contemplata a lungo, amorosamente. Aveva i capelli corti, di un biondo perfetto e nel sonno la sua bellezza si faceva più serena. Somigliava a Anna al punto da far male.
Era circondata dai due gatti. In una mano stringeva Emily e nell'altra teneva il carillon.
Max sentiva il sibilo del suo respiro e era preoccupato per i suoi polmoni malati.
Stavolta era peggio di tutte le altre volte.
L'inverno non era mai un buon momento. L'anno precedente Giulia  si era presa un'infreddatura coi fiocchi e aveva tossito e starnutito fino ai primi di aprile. Per un po' aveva avuto addirittura la febbre alta e Max inizialmente aveva pensato anche al contagio del Lee-Chang poi la febbre era calata e per il resto dell'inverno il raffreddore di Giulia si era ridotto a una grossa seccatura.
Ora però era giugno e la tosse non accennava a passare.
Alla fine Max si addormentò.
Quando quegli uomini irruppero nel loro rifugio Max ancora non dormiva.
I loro passi erano pesanti.
-C'è nessuno?- gridò una voce.
Max prese Giulia in braccio e fece in tempo a infilarsi in una cavità che aveva scavato per nascondersi, richiudendola con una lastra di marmo. Giulia non si svegliò.
-Dei rumori!- disse un uomo vicino al nascondiglio.
E Max sentì che toglieva la sicura al fucile.
Ermes e Mercurio miagolarono.
-Ma dai Alfredo, sono due gatti.- rise il capo.
A quel punto Max udì la voce che dava ordini che diceva piano:
-Alfredo mi raccomando, stiamo cercando solo esseri umani sani. Se trovate delle persone controllate che il loro sangue sia pulito.-
-Qui vivono delle persone sane,- rispose Alfredo -hanno mangiato del cibo normale e gli avanzi della cena sono ancora tiepidi.-
Allora il capo gridò:
-Siamo la Stone Cold Company. Questa è una missione di salvataggio. Venite con noi, vi daremo protezione.-
Max teneva stretta Giulia.
Proteggerci, come no?Ho già sentito questa storia, pensò, anche i militari che avevano portato via Anna avevano detto che l'avrebbero salvata.
-Non prendete nulla. Concentratevi sulle persone, se non troviamo le persone non prenderemo il resto.-
Una lama di luce illuminò la lastra dietro cui erano nascosti e Max si strinse ancora di più a Giulia.
Aspettò, tendendo l'orecchio e finalmente udì suoni e voci sempre più lontani finché ci fu di nuovo silenzio.
Esseri umani con il sangue pulito.
Probabilmente il sangue serviva per una trasfusione, ma Max non poteva escludere che si trattasse di qualcosa collegato al sangue che avevano trovato nelle catacombe di Sant'Agnese.
Svegliò Giulia baciandola sulle guance rosate.
La bambina si tirò a sedere stropicciandosi il viso.
-Sei peggio della carta vetrata.- lo rimproverò ridendo, poi aggiunse -Ho sognato la mamma stanotte-
-Era un bel sogno?-
Giulia sorrise e annuì.
-Tesoro dobbiamo lasciare questo posto.- la interruppe lui.
-Ci stanno cercando. Per un po' torneremo nei sotterranei di Castel Sant'Angelo. Con noi verrà solo Ermes, Mercurio resta qui.-
-Perché ci stanno cercando?-
-Per la verità non cercano noi. Cercano semplicemente degli esseri umani, forse per prenderci il sangue.-
Giulia non fece altre domande, preparò in silenzio il suo zaino e indossò la maglietta rossa portafortuna.
Max prese tutto quello che poteva servire per arrivare a Castel Sant'Angelo. Avevano vissuto nei sotterranei della fortezza per sei mesi e li ricordava benissimo, sarebbe stato semplice, una volta arrivati, recuperare tutto quello di cui avrebbero avuto bisogno.
Prese anche le mappe che aveva disegnato durante le sue escursioni nelle gallerie.
-Sei pronta?- chiese.
Giulia annuì senza entusiasmo.
Max si infilò un elmetto giallo e accese la lampada montata sulla parte anteriore. La luce lampeggiò sul viso di Giulia che fece un passo indietro coprendosi gli occhi, Ermes miagolò dentro lo zaino.
-Allora in marcia, piccola!-

4.
Camminavano cercando di fare meno rumore possibile.
Max era tranquillo, aveva percorso quelle gallerie molte volte e non aveva incontrato nessun pericolo. Giulia cominciò a rallentare.
-Tesoro prova a contare i passi, vedrai che il tempo passerà più in fretta- le suggerì Max.
Giulia ci provò ma si stufò subito.
Arrivarono all'acquedotto. La luce della torcia illuminò la galleria, un pavimento di acqua si delineò di fronte a loro.
-Da qui in poi proseguiremo con il canotto.- disse Max indicando il canotto legato ad un palo.
Il tonfo del remo echeggiava tra le mura umide e il loro fiato si condensava in nuvolette di vapore.
Alla fine dell'acquedotto lasciarono il canotto e presero un passaggio stretto e basso che li costrinse a camminare a quattro zampe.
La galleria si allargò nuovamente e poterono alzarsi in piedi.
Max guardò Giulia e la illuminò con la luce dell'elmetto.
La bambina aveva il naso arricciato per il tanfo di muffa e di stantio e uno sbaffo di fango le rigava la guancia.
Si addentrarono sempre più nella rete di tunnel sotterranei e Max perse la cognizione del tempo.
Arrivarono ad una biforcazione in cui il passaggio si allargava.
Max puntò la torcia all'interno della galleria e Giulia emise un'esclamazione di stupore.
Il pavimento era coperto di sanpietrini, le pareti erano rosso pompeiano e c'erano dei dipinti.
Era uno dei numerosi passaggi segreti che univano i palazzi di potere a Roma.
In particolare quello collegava Palazzo Maccarani con Palazzo Giustiniani, dove erano gli uffici dei senatori a vita.
Insieme ad altri passaggi segreti era stato costruito per spostare i politici durante gli anni di piombo.
Camminarono ancora e ad un tratto trovarono un cumulo di terra che sbarrava il passaggio.
Le infiltrazioni dell'acqua avevano fatto crollare il soffitto della galleria.
Max tirò un calcio al grosso mucchio di terra mentre l'ansia gli montava dentro.
Dovevano salire in superficie e non lo aveva previsto.
Tentò di restare calmo e di essere rassicurante.
-Siamo dalle parti di Fontana di Trevi e fuori dovrebbe ancora esserci luce. L'ingresso per un altro passaggio sotterraneo è qui vicino.-
Tornarono un poco indietro.
Max illuminò un'apertura sul soffitto con la torcia.
Era chiusa da un coperchio d'acciaio.
-Usciremo da lì.-

5.
Come uscirono allo scoperto udirono i loro gemiti.
Era l'imbrunire e una mezza dozzina di sagome insanguinate e barcollanti vagabondavano in un perpetuo andirivieni.
Camminavano piano, svogliatamente, con passi strascicati. E incespicavano gli uni contro gli altri come se fossero ciechi.
Lui strinse a sé Giulia e gli si inumidirono gli occhi.
Si misero in marcia. Max teneva puntata la balestra e il piede di porco a portata di mano fissato all'esterno dello zaino. Alla cinta aveva una pistola ma non aveva intenzione di usarla, il silenzio rimaneva la loro difesa più grande.
Tutto intorno c'erano vetrine rotte, auto incendiate, cassonetti dell'immondizia rovesciati.
I muri erano scorticati e sporchi di sangue.
Le finestre delle case erano opache di sporcizia, e da qualcuna pendevano flosce tende polverose.
Non dovevano percorrere molta strada, dovevano solo arrivare all'incrocio e girare a sinistra poi avrebbero trovato un tombino da cui scendere nelle altre gallerie.
Max cominciò a correre al centro della strada dove era più facile schivarli, Giulia lo seguiva.
Molti di loro cadevano inciampando sulle radici degli alberi che avevano spaccato l'asfalto.
Max udiva i loro mugolii famelici e aveva il cuore in gola.
Giulia si fermò, si accasciò a terra e iniziò a tossire.
Dall’enorme moltitudine si alzò un coro di gemiti raccapricciante.
Max si fermò accanto a lei e caricò la balestra.
Arrancavano verso di loro.
Cominciò a lanciare le frecce con la balestra e aprì un varco verso la carcassa di un'auto.
-Giulia corri sotto quell'auto e libera il gatto-
Giulia riuscì a correre schivando i cadaveri grigi e polverosi e si infilò sotto l'auto. Liberò Ermes che però rimase sotto l'auto invece di scappare e distrarre i gialli.
Intanto Max tirava con la balestra tentando di ricaricarla più velocemente di quanto non fosse abituato a fare e si avvicinava all'auto dove era Giulia.
Ne colpì due uno in bocca e l'altro nell'occhio destro.
Le cose-morte che seguivano inciamparono nei corpi a terra e caddero.
-Papà!- il grido di Giulia era carico di terrore.
Balzò verso l'auto.
Afferrò un giallo per i capelli lunghi e grassi e lo scaraventò lungo la strada, mandandolo a sbattere con la testa per terra.
Il giallo si rialzò con un ringhio gutturale e Max lo colpì al volto con una ginocchiata, facendolo cadere sul marciapiede.
Voglio salvarti, Giulia. Lo voglio. O morirò anch'io.
Arrivarono altri gialli e inciamparono sul corpo del giallo che era a terra.
Max arrivò all'auto.
Si avvicinò alla donna che era in ginocchio e cercava di mordere Giulia.
La allontanò dall'auto tirandola per la spalla, la donna cadde distesa sull'asfalto.
Max impugnò il piede di porco e lo alzò per sferrarle il colpo, ma si fermò.
La maglietta della donna gli ricordò qualcosa.
Era la stessa che Anna indossava il giorno che l'avevano portata via.
Non può essere lei si disse ho le allucinazioni.
Rimase a fissarla.
Era bionda, aveva gli occhi gialli e infossati, ma somigliava a Anna.
La donna emise un lamento famelico e rabbioso e spalancò la bocca per morderlo.
Dannazione è solo un'allucinazione.
Calò su di lei il piede di porco con tutta la disperazione che aveva dentro.
-Papà- chiamò ancora una volta Giulia e quella fu l'ultima volta che udì la sua voce.
Guardò in basso e vide una scena che non avrebbe più dimenticato.
Un giallo senza gambe aveva strisciato fin sotto all'automobile.
Grattava con le unghie spezzate sull'asfalto tentando di afferrare Giulia.
Max lo tirò via da sotto l'auto.
Il giallo alzò la testa verso Max, il sangue rosso gli scolò sul mento scorticato.
Aveva preso Giulia per il collo e la stringeva fra i denti come fa un lupo con una gallina.
Max lo colpì con il piede di porco. Con uno schianto secco il cranio dell'essere scoppiò schizzando sangue sui pantaloni di Max e sulla macchina.
Fu allora che Max si accorse che aveva avuto un'altra allucinazione.
Il giallo non aveva Giulia in bocca, ma Ermes che ancora si divincolava debolmente.
-Giulia?-
Nessuna risposta.
Max aveva le mani sudate.
-Giulia?-
Ancora nessuna risposta.
Non aveva più saliva in bocca.
Giulia si mosse, era ancora viva.
Max la tirò fuori da sotto l'auto, la prese in braccio e la strinse a sé.
-È finita-, la rassicurò stringendola a sé e cullandola.
-Giulia, è finita, andrà tutto bene-
Udì i mugolii.
Altri gialli stavano arrivando. Rimise il piede di porco nella tasca dello zaino.
Sistemò Giulia alla bell'e meglio nell'incavo del braccio, sapendo, però, che non avrebbe potuto reggere a lungo la fatica e cominciò a correre.
I suoi passi risuonavano sull'asfalto.
Estrasse la pistola e cominciò a sparare all'impazzata in mezzo al gruppo mentre un urlo selvaggio  gli contraeva le labbra esangui.
Continuò a sparare fin quando ebbe scaricato la pistola. Le lacrime gli scorrevano lungo le guance.
I corpi sussultavano mentre venivano raggiunti dalle pallottole e cadevano a terra.
Corse fino all'incrocio e girò a sinistra cercando il tombino per tornare sottoterra.
Tre gialli gli si fecero incontro. Sbirciò dietro di sé.
Dietro di lui ne venivano altri, uomini, donne, addirittura bambini.
Continuò a correre. Non ce la faceva più.
Giulia! Gli urlò la sua mente. Tieni duro per Giulia!
Arrivò al tombino e con il piede di porco sollevò il coperchio.
Scese la scaletta e lo richiuse.
Accese la torcia e continuò a correre fino a che i crampi alle gambe non divennero insopportabili.
Riprese fiato. Guardò Giulia e si accorse che dormiva, la testina appoggiata contro la sua spalla.
Camminò ancora per molto tempo poi stremato si accasciò  in una cavità con Giulia ancora tra le braccia e si addormentò.

6.
Nei giorni successivi Max continuò a vagare nei cunicoli cercando di arrivare a Castel Sant'Angelo.
Portava Giulia sempre in braccio. La bambina non camminava, non parlava e rifiutava il cibo.
Anche durante le loro soste sedeva e fissava un punto indefinito in attesa di chissà cosa.
Era pallida e lo sguardo era vuoto.
Tuttavia non aveva nessuno dei sintomi del prione Lee-Chang.
Max le si sedeva vicino, le accarezzava la testa.
-Andrà tutto bene, vedrai.-
In quei momenti piangeva. Non riusciva a trattenersi. Le lacrime gli scendevano a fiotti mentre la stringeva forte al petto, più forte che poteva.
-Giulia, te lo giuro, non so come, ma andrà tutto bene.-
Quei giorni Max faceva sempre degli incubi.
In particolare sognava il giallo che afferrava Giulia, la mordeva al collo e la teneva stretta tra i denti sollevandola e scuotendola. Poi la portava via, strisciando rapido come un serpente.
Tutte le volte si svegliava gridando.
Riusciva a calmarsi solo vedendo che Giulia dormiva accanto a lui.
Quel sogno continuò a perseguitarlo anche dopo, quando gli uomini della Stone Cold Company lo trovarono e lo portarono al sicuro sulla loro nave.

Stone Cold Company  -  6 giugno 2016
Confermo Roma come città di interesse per i rifornimenti.
A causa della rapida diffusione del contagio la popolazione non ha consumato tutte le risorse alimentari.
Abbiamo cercato dei superstiti soprattutto nella Roma sotterranea.
Abbiamo trovato quattro gialli in grado di parlare e ragionare, connessi con l'organizzazione che vuole ottenere una nuova razza operando trasfusioni di sangue umano sui gialli.
Abbiamo trovato un solo soggetto sano.
Il dottore ha detto che presenta un moderato sottopeso, ma nel complesso è in buona salute.
Come la maggior parte dei sopravvissuti presenta turbe psicologiche e stati allucinatori persistenti. In particolare ha un attaccamento ossessivo per un piccolo teschio che porta sempre sottobraccio avvolto in un lembo di maglietta rossa. Il soggetto è convinto che si tratti della figlioletta Giulia. Il medico sostiene che il teschio risalga molti anni fa, il che ci fa escludere che sia il teschio della bambina morta.
Tenente Angelo Benuzzi

Commenti

  1. Bello vedere che il SB continua ancora oggi, complimenti a Cily.

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  2. @lady
    GRAZIEEEE!
    Grazie mille per lo spazio che mi hai dato!
    Se non fosse stato per te sarebbe rimasto in un cassetto!
    Grazie mille per l'incoraggiamento e l'apprezzamento! Per me sono DAVVERO importanti!

    @Nick
    Grazie per i complimenti! :)
    Il SB mi era tanto piaciuto ma sono arrivata in ritardo...e così ho voluto in certo senso dire la mia! ;)

    RispondiElimina
  3. Arrivo tardi, temo. Ma comunque un bel po' di complimenti sia all'autrice sia a chi gli ha giustamente dato spazio. Tra l'altro ho la sensazione di sapere qualcosa su questo racconto, sui sotterranei di Roma, per dire...

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    Risposte
    1. Qui non esiste la parola "ritardo", siete i benvenuti sempre e a qualsiasi ora :P.
      Io credo nella scrittura di Cily, la trovo talentuosa, e credo nel darle la visibilità che merita!

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  4. Bellissimo! dove trovvo altri scritti di Cecilia Spaziani? Stefano Graziosi

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