Henri Cartier Bresson credeva che ogni azione, ogni soggetto, ogni situazione vivesse prima o poi un momento decisivo, un attimo importante, da fotografare.
Un fotografo che ha testimoniato il secolo scorso, anche attraverso la pittura, con i suoi scatti su momenti storici rilevanti o quotidiani. Un artista che ha trovato essenziale viaggiare per nutrire la sua arte, perchè le sue Leica non fossero passatempo, ma occhio vigile sulla realtà, in ogni declinazione.
Ha fotografato la storia, la miseria umana, attori del cinema e scrittori, con uno stile in bianco e nero senza virtuosismi, ma fatto i occhio, cuore e anima allineati, come diceva spesso.
A Torino fino al 24 giugno 2012 c'è sua una mostra di 180 foto a Palazzo reale. Ci sono andata ieri e ne sono uscita emozionata.
Non amo particolarmente "quel" genere di foto, soprattutto dedicato a volti e persone.
Ma è inevitabile restare affascinati dagli scatti sopravvissuti all'autore, immagini in perpetuo movimento. Pioggia, polvere e occhi sembrano scaturire dalle cornici in un'azione immortale.
Ed ho scoperto, da profana, da fotografa della domenica con un'inclinazione per la pellicola, che per fare una splendida foto non è importante la macchina fotografica, la messa a fuoco, il rullino di marca o il soggetto.
E' essenziale invece la luce che gioca con le linee in una geometria armoniosa di forme.
Non serve che tutto sia nello scatto, serve invece che il fotogravo "veda" con gli occhi dell'anima quel momento decisivo, quella perfezione quasi pittorica nella scena.
La premonizione di una visione attraverso l'occhio del fotografo e della macchina. Che sia una Leica, una Diana Mini, una canon digitale ultimissimo grido.
Non esiste ritocco di Photoshop che possa migliorare una foto priva di questo disegno.
Un fotografo che ha testimoniato il secolo scorso, anche attraverso la pittura, con i suoi scatti su momenti storici rilevanti o quotidiani. Un artista che ha trovato essenziale viaggiare per nutrire la sua arte, perchè le sue Leica non fossero passatempo, ma occhio vigile sulla realtà, in ogni declinazione.
Ha fotografato la storia, la miseria umana, attori del cinema e scrittori, con uno stile in bianco e nero senza virtuosismi, ma fatto i occhio, cuore e anima allineati, come diceva spesso.
A Torino fino al 24 giugno 2012 c'è sua una mostra di 180 foto a Palazzo reale. Ci sono andata ieri e ne sono uscita emozionata.
Non amo particolarmente "quel" genere di foto, soprattutto dedicato a volti e persone.
Ma è inevitabile restare affascinati dagli scatti sopravvissuti all'autore, immagini in perpetuo movimento. Pioggia, polvere e occhi sembrano scaturire dalle cornici in un'azione immortale.
Ed ho scoperto, da profana, da fotografa della domenica con un'inclinazione per la pellicola, che per fare una splendida foto non è importante la macchina fotografica, la messa a fuoco, il rullino di marca o il soggetto.
E' essenziale invece la luce che gioca con le linee in una geometria armoniosa di forme.
Non serve che tutto sia nello scatto, serve invece che il fotogravo "veda" con gli occhi dell'anima quel momento decisivo, quella perfezione quasi pittorica nella scena.
La premonizione di una visione attraverso l'occhio del fotografo e della macchina. Che sia una Leica, una Diana Mini, una canon digitale ultimissimo grido.
Non esiste ritocco di Photoshop che possa migliorare una foto priva di questo disegno.
Tutte le foto sono di proprietà della FONDAZIONE HENRI CARTIER BRESSON
Grazie per la segnalazione!
RispondiEliminaCome hai detto benissimo, bisogna saper vedere prima ancora di saper fotografare.
RispondiEliminaMa si impara, sia l'uno che l'altro.
Dici che si impara a saper vedere?
EliminaSulla tecnica fotografica nulla da dire, ma sul saper vedere sono in dubbio.
Però se fosse come dici tu sarebbe una speranza per quelli che non saranno mai "grandi artisti", ma che pure amano la fotografia.
Parlo per esperienza personale. Da quando ho ricominciato a fotografare seriamente ho iniziato a vedere cose che voi umani… :-)
EliminaNo, davvero, vedere il mondo attraverso l'obiettivo della macchina fotografica per me ha significato un cambio generale di percezione, un'attenzione diversa rispetto all'esterno.
Credo che per gli occhi valgano un po' le stesse regole che usiamo quando parliamo di educare l'orecchio. Alla base ci dev'essere una grande umiltà, una disponibilità a mettersi in gioco, a non dare nulla per scontato. Date queste basi il resto è solo pratica ed esercizio.
Cartier Bresson aveva il dono di saper cogliere l'inquadratura giusta. Penso sia una cosa innata. Io almeno, pur potendo contare su un papà fotografo dilettante ma abbastanza preparato, non ho mai appreso qual è la giusta inquadratura o la giusta luce.
RispondiEliminaGreat reading yoour post
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